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Eugenio Borgna e la Gioia
Maria Antonietta Magrini

06.07.2026

Certo, la gioia è un’emozione lampeggiante
che, come la stella del mattino,
si intravede e poi scompare
fra la notte e l’alba”

 

Eugenio Borgna era un temerario, uno dal coraggio e dalla determinazione “risplendenti e vivi”…. Ne parlammo in una delle nostre mail e lui mi ringraziò per quell’aspetto della sua personalità che poteva rimanere sconosciuta a chi vedeva in lui “solo” uno psichiatra dalla cultura sconfinata. Ma io lo avevo incontrato già molti anni prima e lui, quasi tenendomi per mano, mi aveva accompagnato lungo i suoi sentieri della psichiatria fenomenologica e dell’ascolto gentile. Era ostinatamente posizionato in direzione contraria al “comune sentire” soprattutto quando questo falso sentire produceva false immagini di coloro che lui ha sempre accolto e ascoltato: i fragili, gli schizofrenici, i suicidi… Il suo era un mondo “di donne”. Le “sue donne”, che ha descritto nelle opere sempre con attenzione e grande partecipazione alla loro esistenza così in bilico tra follia e “normalità”. Di armonia risuona e di follia… così vedeva il mondo delle donne, dei poeti, dei letterati che per troppa sensibilità, per la loro speciale capacità di accogliere in loro stessi tutti i suoni di questo mondo, slittano, scivolando ai limiti fino, per alcuni, alla caduta finale.

 

Ho sempre apprezzato, anzi ammirato senza remore la capacità di questo professore di dire come lui intendeva la psichiatria, come fosse necessario, vitale, oltre alla cura farmacologica, affiancare le donne, gli uomini nel loro cammino, a volte anche solo ascoltando il loro silenzio. Borgna ha scritto pagine preziose sul silenzio. Su quanto questo sia necessario in certi dialoghi, in certi incontri. In questo mondo che “fa rumore” anche, o forse soprattutto, per generare confusione, smarrimento, lui si ergeva limpido e netto a difesa del silenzio, degli sguardi che non fuggono via, oppure che si posano lì dove non recano danno a chi si mostra nella propria commovente fragilità. La cultura che coltivava da sempre lo aiutava, perché attraverso i testi dei suoi autori preferiti (ma lui amava leggere di tutto, uomo dall’interesse sempre vivo per l’altro da sé) riusciva a capire meglio le “sue donne”. Non aveva timore di proporre una psichiatria dolce, quando ancora i contenimenti e gli inumani elettrochoc erano praticati e riconosciuti dalla medicina del tempo. Provava orrore per quel modo di guardare ad un suo simile come fosse un mostro, qualcosa da domare, da ridurre ai minimi termini.

 

Amava la psichiatria e un po’ si rattristava per l’impostazione troppo oggettivante che si era data negli ultimi anni. Ne scrisse anche un libretto. Come non concordare con il suo pensiero. Io lo seguivo ovunque mi portasse e non ho mai trovato un punto di vista che non condividessi. Incontrarlo prima nei testi e poi, fortunosamente anche di persona, mi permise, finalmente! di iniziare con lui un colloquio che non si è mai esaurito. Il colloquio, il parlare e tacere insieme, l’ascoltare i tempi dell’altro che non sono i nostri perché il tempo personale non è quello della “clessidra”, per usare una metafora alla quale era particolarmente affezionato. Il tempo. Gettare l’orologio quando ascoltiamo qualcuno: questo era il consiglio che dava a chi si apprestava a svolgere la professione che lui ha amato con tutto se stesso e che lo ha aiutato a superare o accogliere anche le proprie fragilità. Lo scrive nei suoi libri, parla di come anche lui viveva e ondeggiava sotto i colpi della vita. Ondeggiava, si piegava come tutti noi.

 

Borgna non era un magister ex cathedra, lui non insegnava con il dito puntato. Raccontava e si posizionava. E non è sempre così facile, soprattutto per un uomo che rischiava di diventare un personaggio, un simulacro. Lui era ed è un faro per tutti coloro che viaggiano in “direzione ostinata e contraria”. Il suo discorso era limpido e le immagini delle sue donne, dei suoi poeti, dei suoi scrittori più amati erano sfolgoranti e vivide, calde. Borgna ha descritto la malattia mentale e le sfumature emozionali presenti in noi in svariati modi. Nei modi infiniti che la sua capacità di lettura dell’animo umano gli permetteva. Nei modi infiniti che gli restituiva la lettura di testi di uomini e donne che con generosità si sono mostrati nel loro movimento a spirale verso limiti per alcuni invalicabili, per altri cercati come una liberazione dal dolore, ma senza rabbia, senza odio, con dolcezza. Borgna ha scritto sulle emozioni fragili, sulla speranza, sulla tenerezza, sulla mitezza. Ha scritto testi scientifici netti e chiari, come lui. Ha scritto sul suicidio, dei giovani ma anche, nella penultima opera uscita, delle donne. Non sorprende che abbia scritto un libro sulla gioia.

 

Leggerlo ci insegna a guardare oltre quello che si mostra meglio e abbagliandoci ci impedisce di vedere e capire il senso del nostro stare al mondo. Non poteva non scrivere della gioia perché voleva mostrarci come questa emozione improvvisa e fragile, “friabile e impalpabile, delicata e abbagliante, leggera e profonda” vive in ogni piccolo gesto che recuperiamo nel nostro giorno e che ci dà modo di riconciliarci con il mondo. Piccoli gesti per noi che possiamo anche rivolgere agli altri. Scrive Borgna che quando incontriamo qualcuno che nelle sue parole, nei suoi gesti o nei suoi occhi mostri la gioia, cerchiamo di ascoltarlo, di essergli vicino così che la sua gioia si riverberi in noi e illumini anche il nostro cammino. Nel testo sulla gioia propone letture di vari autori: Hillesum, Weil, Rilke, ma anche Sacks e Bobbio, tutti accomunati da riflessioni sulla gioia e sulle emozioni che la accompagnano. Parla della gioia femminile che si discosta da quella maschile nella sua espressione esteriore, non certo nella sua sostanza. Descrive questa emozione facendola apparire davanti ai nostri occhi come un qualcosa di leggero, “lampeggiante” che ci fa entrare in sintonia con noi stessi e con gli altri.

 

La gioia ci permette di riconoscere il bello negli altri, con i suoi “occhi” sul mondo “ci fa capire che in ognuno di noi luci e ombre si alternano, si mescolano, e anche che le ombre si diradano solo se sappiamo andare incontro agli altri con gentilezza e con delicatezza, con tenerezza e con amore”. Come non trovare coraggioso questo approccio all’altro? Come non considerare controcorrente questo ragionamento? In un mondo in cui viene coltivato il sospetto e la rabbia è diventata la nostra amica più affettuosa, tenere in mano questo testo, anche solo sfogliarlo fermandoci a leggerne frammenti ci restituisce il senso vero della nostra esistenza e del nostro vivere insieme agli altri.

 

Eppure, come ci spiega Borgna, la gioia è l’emozione del presente “friabile e luminoso”, che non reca con sé la malinconia del passato oppure la speranza del futuro. Dovremmo apprezzare la gioia, dato che siamo sempre più compressi nel qui-ora, dato che il passato disturba (la storia non insegna niente) e il futuro è molto incerto. Ci dovrebbe risultare simpatica questa svolazzante e argentina brezza della gioia (e leggendo il testo di Borgna è ciò che accade). Dovremmo essere pronti ad acchiapparla, quella vera, visto che siamo tutti superaccelerati, iperveloci…. E invece niente. Ci mortifichiamo a vicenda, anzi, peggio, lasciamo che gli altri ci mortifichino, ci sottraggano tempo per leggere un sorriso sul volto anche del vicino di posto in metropolitana o alle poste.

 

Borgna sapeva che avevamo bisogno di qualcuno che oscurasse tutta la rabbia, la violenza, il disinteresse verso gli altri, anche verso quelli che vivono esperienze tragiche in cui mai noi vorremmo essere coinvolti e che caratterizzano i nostri tempi.

 

Borgna ci insegna a prendere posizione, a cantare fuori dal coro. A dire no a ciò che ci farebbe andare contro l’uomo, contro l’umanità, contro l’accoglienza.

 

I suoi libri sono manifesti da conservare, manuali da tenere sempre a portata di mano.

 

Nel mio cammino insieme a lui Borgna mi ha anche insegnato a gestire la mancanza, la malinconia di non avere più vicino a noi le persone care. Lui aveva perso la sua amata moglie, sua unica compagna di vita. Ne conservava il ricordo senza nominarla mai, come si fa quando grande è l’affetto e il rispetto per chi è nel nostro cuore.

 

Sono una pessima studentessa perché Borgna mi manca e tanto e fatico a trovare le strade che mi ha indicato. Continuerò a leggere e cercare di capire meglio i suoi pensieri e questo sono certa che mi aiuterà.

 

“Mi è riuscito di dire qualcosa del mistero, del dicibile e dell’indicibile, della grazia e del cuore, che sono nella emozione della gioia? Credo di sì. E in Resistenza e resa, in cui sono raccolte le lettere dal carcere di Dietrich Bonhoeffer, e in particolare quelle della gioia, ritrovo l’orizzonte delle mie stesse parole: ‘ Nessuna vita scorre tanto uniforme e piana che non si scontri con una qualche diga e formi un vortice; o che gli uomini non gettino pietre nella sua acqua chiara; sì, qualcosa capita ad ogni uomo, e allora devi far sì che la tua acqua resti chiara e che possano specchiarsi cielo e terra.’ La gioia, il sorriso e le lacrime, la letizia e la grazia sono modi di vivere, che ci consentono di mantenere chiare le acque della vita”.

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