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Etica dello spazio II
Fine e fini della storia
Stefano Righetti

15.12.2024

Il testo che segue è tratto dall'Introduzione al volume di Stefano Righetti, Etica dello spazio II. Fine e fini della storia, edito da Mucchi Editore.

Introduzione

Che non sia possibile immaginare la storia senza una corrispondente concezione del tempo dipende dal fatto che il tempo, se non può dare alla storia l’obiettivo rispetto al quale assumere un senso le conferisce certamente il presupposto rispetto al quale definirlo. Tempo e metafisica si implicano necessariamente: l’uno non potrebbe esistere senza l’altra. E in un certo senso, perfino, coincidono. Pensare la storia vuol dire attribuire al tempo un significato – che in quanto tale precede la storia stessa. E, viceversa, assumere il tempo come principio d’ordine fa sì che un certo significato della storia possa apparire tale o, al contrario, giustificare il suo impiego come ordine del tempo: disporre il prima e il dopo entro cui la storia può darsi come storia, affermando la verità di cui il tempo è allora testimone e, insieme, garanzia.

Il pensiero della storia si è a lungo diviso tra l’idea che la verità della storia ne trascenda in ogni caso i fatti, e l’idea che questa trascendenza non debba che esprimersi e rivelarsi negli eventi stessi. A collegare queste due concezioni, apparentemente antitetiche del tempo, è l’idea che, al di là della materialità degli eventi, il tempo è la garanzia che il loro significato attinga comunque a un principio rispetto al quale ogni evento dovrà infine ordinarsi, ricevere un senso e un’interpretazione, al di là della semplice contingenza. Ma rispetto a quali principi questo ordine dei fatti sarebbe oggi possibile? In che termini potremmo affermare di credere ancora a una storia e alla sua verità? Forse nel senso negativo della disillusione e della consapevolezza che la storia, e con lei l’intera l’umanità e il Pianeta stesso, sono come mai prima d’ora di fronte al pericolo della loro fine ecologica?

Sarebbe questo, al di là delle ipotesi speculative della modernità, il compimento o la fine che la filosofia ha a lungo preteso di attribuire sul piano metafisico alla storia; la conclusione del progresso moderno secondo i fini che la storia avrebbe “filosoficamente” raggiunto? Ma così inteso, il pensiero della storia non dovrebbe portare già in sé (fosse pure inconsapevolmente) la sua stessa fine? O è ancora possibile una via di fuga dalla storia, dal suo ordine del tempo, e dal tempo così come l’ordine della storia lo ha istituito? Al di là delle evocazioni della fine, con cui il mondo contemporaneo non ha mai smesso di confrontarsi dalla Seconda guerra mondiale in poi, è vero, come ricordavano Vattimo e Rovatti in apertura a Il pensiero debole, citando indirettamente Lyotard, che «[l]a “crisi” dei fondamenti, a questo punto, non è più trattabile come una cattiva verità che può essere rovesciata da una nuova: la crisi si sposta infatti dentro l’idea stessa di verità»1.

Ma quale storia possiamo allora presupporre al di là della sua fine? Quale storia rimane possibile – se una storia è ancora possibile – al di là della Storia (ovvero, per dirla ancora con Vattimo e con Rovatti, della pretesa di quella «reductio ad unum» dei fatti che la storia aveva inteso definire2)? È in fondo il problema che ha assillato il pensiero contemporaneo a partire da Nietzsche e fino al postmoderno, l’idea che la storia fosse cioè scomparsa e che occorresse ormai ridefinire il senso del tempo insieme al suo principio di verità. Se c’è un motivo per cui la crisi ecologica si rivela oggi nella sua assoluta drammaticità anche sul piano teorico, oltre che su quello materiale, è perché essa ci pone di fronte alla possibilità di una fine, svelando al contempo come falsi tutti i fini che la storia si era data il compito di realizzare e che ha invece inequivocabilmente fallito, facendo sorgere il dubbio che la crisi climatica (assai meno controllabile di quella che aveva assillato l’umanità fino alla fine degli anni 80 con la Guerra fredda) sia ormai l’unico destino della storia che rimane da compiere.

Quello che il presente lavoro intende dunque analizzare non è tanto il divario che ha separato le filosofie della storia dalle loro promesse (questo non sarebbe del resto che un inutile elenco); ma ciò che, pur nelle differenze e, spesso, nel conflitto tra le varie filosofie, dovrebbe essere ormai possibile indagare: il problema di come l’assunzione del progresso del tempo quale ordine di senso unico dell’umano, abbia dovuto porre contemporaneamente il tema di un fine della storia facendone, in tal modo, il principio necessario del suo sviluppo e l’obiettivo del suo compimento. Ovvero, che poiché l’idea di un fine della storia si è accompagnata, nella modernità, a quella della sua fine, la conclusione della storia ha dovuto porsi a un certo punto come un problema in sé, non appena la perdita di ogni finalità (e dunque verità stabilita) è apparsa come la questione con cui il pensiero sarebbe stato costretto, da allora in poi, a misurarsi.

1 G. Vattimo, P.A. Rovatti, Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1983, p. 8.
2Ibid.

© Stefano Righetti, Etica dello spazio II. Fine e fini della storia, Mucchi Editore 2024

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