01.09.2024
Talvolta, accade di rimpiangere d’aver avuto ragione. Quando, ormai quattordici anni fa, ho pubblicato Nel tempo delle catastrofi avevo previsto che i responsabili dell’ordine pubblico, invischiati com’erano in una storia il cui unico orizzonte è l’implacabile corsa alla crescita, non potevano che rispondere con bugie e coperture a colei che faceva intrusione in questa storia. Chiamarla Gaia, anziché farvi riferimento come a un fenomeno climatico, significava far presente che non si trattava di una semplice crisi. Qualunque cosa fosse accaduta, avremmo dovuto imparare a conviverci come una potenza. La Terra non era più solo la Sfruttabile all’infinito, né la Fragile da proteggere. Era diventata ormai la Temibile, quella la cui soglia di tolleranza per la devastazione capitalista era stata superata, quella la cui implacabile irascibilità non avremmo mai più potuto ignorare. Perché Gaia non è giustiziera: tutti, dalle barriere coralline alle lumache agli esseri umani, dovranno pagare, e lo stanno già facendo, per i crimini commessi da alcuni.
Purtroppo non sono mancate false promesse e false manovre. Una crescita rispettosa, “decarbonizzata”, un mondo in cui auto elettriche e aerei a idrogeno ci permetteranno (ma a quale “noi”?) di goderci la vita, campi “coltivati” da robot sempre più sofisticati: la crescita è servita. Procedete, fidatevi di noi, con noi il vostro futuro è al sicuro.
È difficile, e forse inutile, sapere cosa passi per la testa dei nostri leader. Ma è diventato abbastanza chiaro che, almeno in Francia, essi ritengono il loro compito principale quello di mantenere l’autorità dello Stato; in altre parole, la nostra docilità credulona, sinonimo di legge e ordine. E che devono far risparmiare tempo, ovvero denaro, a coloro di cui sono al servizio. Questo è senza dubbio ciò che Macron intendeva quando si è scusato: chi avrebbe potuto prevedere il riscaldamento globale e la siccità? Che bisogna leggere come “chi avrebbe potuto prevedere che si sarebbero fatti sentire così presto? Prima della fine del mio mandato, prima di essere chiamato a rendere conto del mio operato!”. Purtroppo per lui, i tempi di Gaia non sono soggetti alle agende dei governi. Gaia non aspetta. Questo è ciò che gli scienziati dell’IPCC ci pregano di non dimenticare: gli obiettivi di riduzione che sono stati faticosamente negoziati – 2030, 2050... – sono solo degli indicatori, non degli obiettivi in sé. Il tempo che perdiamo è inesorabilmente perduto. È solo su questo punto che, come ha chiesto Greta Thunberg, dobbiamo “ascoltare gli scienziati”. Dobbiamo ascoltarli come campanelli d’allarme, perché i loro modelli sono muti quando si tratta del nostro potere di agire.
I nostri governanti non possono farci nulla, queste potenze si stanno risvegliando e si stanno coalizzando in molteplici forme, nonostante la repressione. Persino chi è al servizio dell’ordine, ad esempio avvocati e ingegneri, si lascia vincere dalla slealtà e sta sposando la causa dello smantellamento e del disarmo. Il grido che si sta diffondendo, “Noi siamo i Soulèvements de la Terre”, viene rilanciato da tutti coloro che hanno capito che Gaia non è un’intrusa, ma colei che porta alla luce ciò che è stato sfruttato, “esternalizzato”, trattato come un nulla. Peggio ancora, la divisione su cui il governo faceva affidamento, tra “quelli che lavorano” e gli ecologisti idealisti che “non sanno cosa sia il lavoro”, sta vacillando. Tra “chi non conta nulla” ci si intende. Giove, si dice, acceca coloro che vuole rovinare, e Macron potrebbe aver commesso un errore di troppo, credendo di poter umiliare impunemente. Ma ha anche dimenticato che i bambini di oggi e di domani, il cui futuro non conta nulla, saranno a loro volta coinvolti, per quanto violenta sia la repressione. La Terra che si solleva è anche il terreno che crolla, il terreno di triste docilità su cui si reggono le nostre istituzioni.
Il pianeta che io e altri chiamiamo Gaia deve, l’abbiamo compreso, la sua singolarità come pianeta abitabile all’intreccio sempre più fitto delle attività dei suoi abitanti e alle numerose e varie interdipendenze che si sono sviluppate tra loro e il loro ambiente. Il “noi” che si afferma nella “natura che si difende” o nella “Terra che si solleva” è quello che lotta contro la distruzione sistematica di questa trama vitale, contro l’imposizione del lavoro produttivo che riduce tanto le risorse del mondo quanto i modi di vivere insieme a tetre monoculture in perfusione. La sfida, quindi, per coloro che si sollevano, è senza dubbio quella di riattivare e coltivare le dinamiche di interdipendenza, di onorare la gioia e l’immaginazione che esse generano. In realtà, coloro che si stanno sollevando con la Terra lo sanno già. E questo, nonostante la repressione, è ciò che li rende “indissolubili”.