20.10.2024
Questa linea alternativa secondo cui la cultura occidentale ha pensato il concetto di storia ha i suoi assi fondamentali nei temi dello spettacolo, del teatro e del formarsi, attraverso di essi, di una comunità dinamica in cui lo sviluppo di ogni singolo, il suo distinguersi e anche conflittualmente contrapporsi agli altri, sono momenti di arricchimento. Quando Kant, dopo le tragiche giornate del Settembre del 1792, decide di continuare a sostenere la Rivoluzione Francese, il suo argomento fu: la Rivoluzione ha istituito un grande spettacolo di cui l’umanità intera è stata partecipe; e ciò che più conta della Rivoluzione è questa nuova collettività egualitaria, questa nuova soggettività che è emersa e la disposizione verso il meglio che essa ha maturato. In questo senso la storia è il formarsi di una comunità universale confliggente e dialogante che discute su come conseguire la massima felicità: non è un fine futuro, un’idea astratta e lontana, ma la reciproca interazione di soggetti che si attua in questo presente, il suo colloquiare e agire qui e ora – un qui e ora in cui si radica il dialogo con le generazioni passate e con le generazioni future. Nello stesso senso andava l’idea goethiana della letteratura mondiale (Weltliteratur) e della traduzione, che sarà ripresa da Benjamin e dall’Auerbach di Weltliteratur e di Letteratura e pubblico: in questa idea, al posto della visione herderiana di un genere umano che va inesorabilmente verso il meglio, abbiamo una comunità di spettatori e attori (cfr. il concetto di spettattore di cui ha spesso parlato Maurizio Iacono) che, sul modello del teatro, istituiscono la storia come grande dramma in cui sono coinvolte, sullo stesso piano e nello stesso istante, le generazioni passate, presenti e future. Essenziale è poi mettere in rilievo come questo modello alternativo di storia sia fin dall’inizio legato essenzialmente alla vita e alla geografia: ne consegue allora un altro aspetto fondamentale, a cui va data una particolare evidenza.
La nuova storia non consiste in uno spirito che progredisce fagocitando la vita e la terra, ma in una cultura che progredisce “ritornando” al più quotidiano, al più elementare, al vitale e terrestre più basilare, al marginale, a tutta la vita che la storia intesa nell’altro senso ha oppresso e emarginato (di nuovo è questa la lezione di Auerbach, Kracauer, Benjamin, sulle tracce di Vico e di Goethe). In questo senso, la storia, come di nuovo constatiamo nello Auerbach di Filologia e Weltliteratur, ritrova la Terra e riaffonda in essa: è essenzialmente geografica. In questo modello che l’Occidente può offrire ai nuovi popoli vediamo l’incontro della sua più alta tradizione umanistica con la cultura tedesca e francese della geografia: quella che è oggi rappresentata da un testo come Ecoumene di Augustin Berque, che si pone sulle tracce di Alexander von Humboldt, di Vidal De La Blache e di Lucien Febvre; ma anche con l’antichissima tradizione italiana che, dai Comuni del nostro Medio Evo, arriva, attraverso Sismondi, Cattaneo e Gramsci, al territorialismo di Alberto Magnaghi e della nuova geografia scaturita, sullo scorcio del XX secolo, dal magistero di Lucio Gambi - dove la storia si fa geografia, ma la geografia è anche riscoperta di un’infinita stratificazione archeologica di culture umane, secondo un rapporto reciproco fra attività umana e ambiente che è tipicamente ecologico.
A questo punto, capiamo che la comunità teatrale e spettacolare di cui abbiamo parlato sopra va ben oltre il genere umano: di essa fanno parte (per dirla con Michel Foucault, ma anche con Donna Haraway di Chtulucene e con un certo Latour) “le cose”, cioè la terra e la vita, che non sono meri oggetti, ma soggetti della storia a pari titolo degli uomini.
A mio parere, dunque, il ritorno della storia, nel segno dell’incontro con i non occidentali, che sarà il tema dei secoli futuri, significa il delinearsi di un concetto totalmente nuovo rispetto a quello che ha predominato nel XIX e nel XX secolo: si tratta di una storia spaziale e terrestre, in cui il tempo è multistratificato, in cui il circolo e la ripetizione hanno pari dignità rispetto alla freccia e all’innovazione. È chiaro che l’ aspetto geografico ed ecologico del concetto di storia è quello cruciale sia per i destini dell’umanità tutta intera, sia per istituire un nuovo patto con i paesi non occidentali: non è scontato che la difesa del territorio possa diventare un obiettivo altrettanto importante per loro come lo è ora la difesa della loro differenza e autonomia dall’Occidente: in quei paesi sembra prevalere spesso una concorrenza sfrenata col produttivismo occidentale; eppure, 1) è grazie allo studio antropologico e geografico dei tanti modi diversi in cui l’uomo può rapportarsi alla natura, e dunque grazie al rapporto col Sud del mondo, che l’Occidente ha messo a fuoco il problema e la proposta ecologica come alternativa al capitalismo predatorio. 2) la messa in discussione di quest’ultimo, se si deve sfuggire alla catastrofe ecologica, appare una necessità ineludibile.
A questo problema politico, altri dilemmi teorici si aggiungono a proposito di questa nuova idea di storia: in che modo sarà possibile pensare che il progresso e il futuro siano spostati e inflessi dal qui e dall’ora del presente e dell’eterno ritorno? E in che modo in questa idea di storia può entrare l’aspetto della del mutamento inconsapevole, molecolare, inconscio? Come nella storia, da sempre legata al logos e al suo sviluppo, può entrare il tema dell’inconscio? Sono in fondo domande che, dopo aver già attraversato la riflessione dello stesso Hegel, sono sottese a tutta la grande riflessione formalista e strutturalista sulla storia; su di esse, come su molte altre, questo nostro presente così caotico e tragico, ma anche così avvincente, ci spinge a approfondire la ricerca.