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Tecnocapitalismo
Loretta Napoleoni

11.05.2025
Il testo che segue è l'Introduzione al testo di Loretta Napoleoni, Tecnocapitalismo. L’ascesa dei nuovi oligarchi e la lotta per il bene comune, edito da Meltemi.

Introduzione
La vita è piena di sorprese

Negli ultimi vent’anni, il disorientamento è diventato un tratto ricorrente della nostra esistenza. Eventi straordinari spesso emergono da situazioni ordinarie, e la vita ci sorprende, ci lascia senza parole o ci spaventa. Ci richiede adattamenti improvvisi e inaspettati a seguito di cambiamenti sbalorditivi: l’intelligenza artificiale scrive riassunti, articoli, persino libri, e chatta con noi come se fosse una persona vera; la risoluzione di complesse formule matematiche libera la ricchezza crittografica intrappolata nei software delle criptovalute e fa prosperare una nuova classe di imprenditori; i collezionisti e gli speculatori pagano milioni di dollari per ottenere la proprietà di immagini digitali – i cosiddetti non-fungible tokens – che esistono soltanto nell’universo dei pixel e che sono accessibili a tutti; con il salvataggio pubblico delle banche del 2008 migliaia di miliardi di dollari stampati schiacciando qualche tasto sulla tastiera del Tesoro americano, lungi dall’evitare il pignoramento della casa a migliaia di persone, hanno foraggiato una nuova specie di capitalisti seriali, i Tecnotitani; uno di loro, Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, sta ristrutturando l’amministrazione pubblica americana come se lo Stato fosse una delle sue imprese e lo sta facendo secondo principi libertarian (che qualcuno definisce “anarcocapitalistici”); lo spazio è la nuova frontiera per l’estrazione di risorse preziose e una manciata di aziende private di proprietà dei Baroni dello Spazio guida la corsa ad accaparrarsele.

Allo stesso tempo, il salario minimo dei lavoratori è sceso sotto il livello di cinquant’anni fa, la gig economy ha cancellato i diritti dei lavoratori, in molti ambiti l’intelligenza artificiale ha già cominciato a rimpiazzare gli esseri umani e il Sogno americano è un lontano ricordo. I più poveri e i malati non sono più inutili, tutt’altro: sono una fonte di profitto per le grandi industrie farmaceutiche e tutto il comparto. Oggi una persona anziana con un cancro allo stadio terminale può essere tenuta in vita dieci anni in più rispetto al passato per fare esperimenti, e Medicare, il sistema sanitario pubblico americano, fa guadagnare milioni di dollari alle aziende sanitarie private.

La guerra in Ucraina è sì una tragedia umana di proporzioni epiche, ma è stata anche una fonte di profitto per le industrie degli idrocarburi e delle armi. Il conflitto ha causato la riapertura degli impianti a carbone e ha consentito agli Stati Uniti e alla maggior parte dei Paesi europei di modernizzare i loro vecchi sistemi di armamento scaricandoli sull’Ucraina. L’inatteso ritorno della corsa agli armamenti tipica della Guerra fredda ha dato nuova linfa al complesso militare-industriale in Russia, negli Stati Uniti e in tutto il mondo – a discapito della green economy, tenuta in sospeso per tutta la durata della guerra e abbandonata dall’amministrazione di Trump, e dell’approvvigionamento alimentare globale, dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria di base e del sostegno ai soggetti più bisognosi della società. Adesso che siamo alle porte della pace, USA e Russia negoziano mentre Zelenskyj e gli alleati europei rimangono a guardare, esclusi dal tavolo delle trattative. La vita stessa si sta svalutando anche se i leader mondiali hanno alzato i tassi d’interesse per combattere il nemico economico numero uno della gente: l’inflazione, siamo più poveri.

L’elenco degli eventi fuori dall’ordinario, surreali, che ci toccano quotidianamente, modificando la nostra esistenza nel bene e nel male, è infinito. Ogni volta restiamo confusi o sconcertati, persino atterriti, e non necessariamente per l’entità del cambiamento – non abbiamo neanche il tempo di valutarla – ma a causa della velocità e della frequenza con cui viene riplasmata la vita intorno a noi. Forse l’esempio migliore per rendere l’idea di questa condizione è la pandemia: la maggior parte dei Paesi è andata in lockdown, e così da un giorno all’altro siamo stati tutti catapultati nel mondo virtuale, una sorta di videogioco della realtà in cui abbiamo cominciato a vivere come avatar.

In Tecnocapitalismo cercherò di descrivere questi fenomeni interpretandoli come la genesi di un nuovo paradigma, nato in un periodo di straordinari cambiamenti in cui l’eccezionale accelerazione del tempo produce spesso una sovrapposizione tra presente e futuro. Quest’epoca unica nel suo genere può essere definita “Futuro Presente”. Dato che sono la tecnologia e l’intelligenza artificiale a dettare il ritmo della trasformazione, la transizione avviene a una velocità mentalmente, emotivamente ed esistenzialmente insostenibile per la maggior parte di noi. Poiché tutto muta in maniera così repentina, qualunque azione appare inutile: la maggior parte di noi ha la sensazione che ogni conquista sia destinata a diventare obsoleta in un batter d’occhio. La futilità del presente è così sconcertante che a volte l’ansia ci paralizza.

La pandemia del coronavirus è stata una lunga successione di eventi del genere, che hanno scatenato la pandemia dell’ansia1. Questo disturbo mentale potrebbe essere definito come segue: una catena di pensieri negativi alimentati dalla paura dell’ignoto. Ma è davvero la paura dell’ignoto la causa principale della malattia del secolo? Oppure ciò che affligge la maggior parte di noi è la velocità con cui le certezze attuali si frantumano e continuano a emergere nuovi orizzonti? La storia può aiutarci a dare la giusta risposta.

All’alba di ogni grande trasformazione ci sono sempre alcuni visionari che hanno abbracciato l’ignoto. Si tratta di persone che percepiscono prima degli altri ciò che sta per accadere e che, a volte, possono contribuire a innescare un cambiamento positivo per la società. È successo, per esempio, quando l’impiego industriale dell’acciaio ha portato alla nascita delle città moderne. Benché ci sia prova che l’acciaio fosse usato per la fabbricazione di utensili qualcosa come quattromila anni fa2, è stata l’invenzione intorno al 1850 del processo Bessemer3 – una tecnica che usa la ghisa fusa per produrre l’acciaio – a trasformare quella dell’acciaio in una delle più grandi industrie del pianeta. Il materiale cominciò così a essere usato ovunque, dall’edificazione di ponti e ferrovie alla costruzione di motori e grattacieli. E fu fonte di grande ricchezza nel Nord America, dove gli enormi giacimenti di minerali di ferro aiutarono gli Stati Uniti a diventare uno dei maggiori produttori mondiali – e la più grande economia del mondo.

Andrew Carnegie aveva previsto questa trasformazione e grazie al suo intuito divenne uno degli uomini più ricchi nella storia americana. Tuttavia, la sua intuizione non produsse solo un’immensa ricchezza per lui e la sua famiglia, migliorò anche la vita delle persone. Nei periodi di grande trasformazione, il vero risultato dei visionari di successo non è dato dalle dimensioni delle ricchezze accumulate, bensì dal loro contributo al salto in avanti del progresso dell’umanità, cioè del bene comune. Senza queste conquiste collettive, la maggior parte delle innovazioni è destinata a danneggiare la società, tramite impoverimento, oppressione o addirittura frodi, come è accaduto nel caso di FTX, l’exchange di criptovalute crollato nel novembre 2022. E vediamo perché.

Sam Bankman-Fried aveva visto una lacuna nel mercato che nessuno aveva notato: i prezzi del Bitcoin erano più alti in Giappone e in Corea del Sud che negli Stati Uniti. E così ha iniziato a colmare il divario facendo arbitraggio e intascando la differenza tra i due prezzi. Con i milioni di dollari guadagnati ha poi creato uno dei maggiori exchange di criptovalute, che ha gestito come uno schema Ponzi mentre si presentava al mondo come un filantropo interessato a salvare il pianeta e concedeva al Partito democratico americano generose donazioni. Quando alla fine FTX è fallita, gli investitori e i clienti hanno perso tutti i soldi, svaniti nel ciberspazio, e i dipendenti hanno perso il posto di lavoro. Dietro la falsa narrazione filantropica, a motivare Sam Bankman-Fried è stata la pura avidità, non il bene comune.

Se la curiosità e l’intuito non avessero prevalso sulla paura dell’ignoto, è molto probabile che la specie umana non sarebbe sopravvissuta. La curiosità verso ciò che si trova oltre il proprio habitat e la percezione che proprio là risiedono le possibilità a lungo termine della sopravvivenza e crescita hanno spinto i nostri antenati dell’Età della Pietra a superare le paure e ad abbandonare le sicurezze della famiglia allargata e della tribù per migrare alla ricerca di una vita migliore. Noi non siamo diversi da loro.

Oggi ad alimentare le nostre ansie non è la paura dell’ignoto, ma la velocità con cui il presente diventa futuro e la realtà viene modificata e reinventata. Non siamo ben attrezzati per affrontare un mondo in cui le certezze si infrangono di continuo e i pilastri delle società avanzate si sgretolano senza sosta. Donald Trump sta picconando l’assetto mondiale post Guerra fredda e le istituzioni nazionali e sovranazionali si stanno trasformando in cumuli di macerie. E l’impatto si sente ovunque anche oltreoceano, in Europa. Il quotidiano non viene risparmiato e viene travolto dai cambiamenti; per esempio, le banconote che utilizziamo tutti i giorni non sono più ancorate ad alcun bene reale: il debito alimenta l’espansione monetaria perché l’ingegneria finanziaria lo ha trasformato in un bene. La moneta fiat (o moneta fiduciaria), e cioè il denaro cartaceo in circolazione, è semplicemente un atto di fede.

Che dire, allora, dei visionari del giorno d’oggi, quelli che non sono sopraffatti dall’ansia? Un ristretto gruppo di imprenditori ferrati nell’hi-tech, in effetti, è riuscito a cogliere la velocità del cambiamento e a ricavare immensi benefici dal Futuro Presente grazie alla conoscenza dell’innovazione tecnologica. Queste persone capiscono la tecnologia e la controllano. Purtroppo, troppo spesso abusano di questo vantaggio straordinario e invece di metterlo al servizio del bene comune lo usano per interessi propri, e così facendo danneggiano la società. La genesi di Uber, per esempio, dimostra come grazie al controllo dell’innovazione tecnologica si possa eludere la legge, peggiorare la qualità della vita dei lavoratori e spingere le amministrazioni locali a deregolamentare un settore vitale come quello dei trasporti, discriminando le aziende meno tecnologiche.

Nell’ottobre 2010, pochi mesi dopo il lancio di Uber a San Francisco, l’azienda ricevette una lettera dalle autorità dei trasporti, in cui si diceva che Uber stava agendo in maniera illegale e che i fondatori sarebbero stati incriminati se non avessero interrotto subito il servizio automobilistico. I dipendenti erano molto preoccupati: che fare? La risposta del cofondatore e amministratore delegato Travis Kalanick fu la seguente: non fare nulla. Mentre le compagnie di taxi presentavano denunce e le autorità preposte al sistema dei trasporti minacciavano azioni legali, Uber ha continuato a violare la legge senza alcuna conseguenza.

Troppo spesso l’inadeguatezza della legislazione esistente è una caratteristica della deontologia, o della sua mancanza, dei Tecnotitani. Consapevoli dell’eccezionale rapidità dei cambiamenti e delle difficoltà che la legge incontra nel tenere il passo con l’innovazione tecnologica, costoro hanno sfruttato e sfruttano questo divario temporale a proprio vantaggio. Hanno fondato e consolidato il loro business, spesso agendo in maniera illecita e illegale e, come nel caso di Uber e Amazon, sovvertendo le norme vigenti del mercato del lavoro. I Tecnotitani hanno costruito i loro monopoli hi-tech all’interno dell’area grigia e dei vuoti legislativi scavati dalla velocità del cambiamento. A differenza dell’impero dell’acciaio di Carnegie, la maggior parte delle loro aziende non ha arricchito la società. Al contrario, alcune hanno sottratto allo Stato i suoi poteri e ai lavoratori i loro diritti per arricchire fondatori e investitori. Eppure, continuiamo a usare le loro app e i loro servizi. Siamo forse ignari o inconsapevoli delle catastrofiche ripercussioni di questi fatti inquietanti sulla società nel suo complesso?

In passato, in qualche misura il ritmo delle grandi transizioni, anche quando il cambiamento è stato provocato dall’uomo, è stato gestibile. Persino durante la Rivoluzione industriale, quando, in un contesto di grande sfruttamento, la società fu trasformata nel corso di una sola generazione – in pochi decenni –, la metamorfosi è stata abbastanza lenta da facilitarne la comprensione e l’adattamento da parte dell’umanità. La società ha sempre avuto il tempo di ragionare sulle conseguenze dell’innovazione, di mettersi alla pari, di regolarsi e infine di ricavarne benefici. La sindacalizzazione della forza lavoro, per esempio, è andata di pari passo con la Rivoluzione industriale, così come lo studio dell’economia. Oggi non ci possiamo permettere questo lusso. Viviamo in uno stato di costante accelerazione del tempo tale per cui la vita è diventata una sorta di video di TikTok a velocità aumentata. E tutto appare infinitamente complesso, precario, incomprensibile, persino irreale alla maggioranza delle persone. E questo vale anche per la politica e l’economia. In un simile scenario, siamo continuamente disorientati, facili prede dell’ansia.

Appurato che la pandemia d’ansia è connessa alla nostra incapacità di cogliere e adattarci a nuove realtà in rapida e incessante evoluzione – in altre parole, di esistere nel Presente Futuro –, si potrebbe sostenere che il nostro cervello non sia capace di processare e convivere con un livello di incertezza così alto e intenso. Tuttavia, qualche antropologo direbbe che i nostri primissimi antenati vivevano in tempi altrettanto precari e pericolosi, privi di certezze, con conoscenze limitate e in balia dei capricci del cambiamento. Quei primi esseri umani dovettero convivere con trasformazioni sempre imprevedibili, e la loro resilienza è rimasta una qualità essenziale per la nostra specie: fa parte dell’eredità collettiva.

Naturalmente, i nostri antenati vivevano in accampamenti o addirittura nelle caverne, mentre noi siamo circondati dai comfort della modernità. Inoltre, ed è ancora più rilevante, la loro sopravvivenza dipendeva dall’aggregazione in clan e tribù, mentre noi viviamo da soli o nel perimetro del nucleo famigliare e, grazie alla tecnologia, dipendiamo sempre meno gli uni dagli altri. Possiamo comprare tutto ciò di cui abbiamo bisogno senza muoverci. A renderci deboli, però, non sono gli strumenti della modernità. La nostra mancanza di resilienza ha radici psicologiche profonde che nascono dall’avere a che fare con un tipo di vita che la nostra specie non ha mai sperimentato prima.

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, l’Occidente ha goduto della più rapida crescita economica e del più lungo periodo di pace della Storia. Paradossalmente, quest’era eccezionale è stata contrassegnata dall’aspettativa di catastrofi immaginarie, come la minaccia nucleare della Guerra fredda o quella del terrorismo, oltre che dal consumismo. Un’era che si è intrecciata a centinaia di “piccole” guerre reali in luoghi lontani, in cui le armi prodotte negli Stati Uniti, in Russia, in Cina o in Europa hanno contribuito a uccidere milioni di persone e a preservare lo status quo della potenza occidentale. Nel corso di questi decenni di paure immaginarie, gli occidentali sono giunti alla conclusione che gli strumenti che la nostra specie ha usato fino a oggi, ovverosia la solidarietà umana, non funzionano più; che siamo entrati in una nuova fase storica in cui ognuno deve pensare solo a sé stesso e questa è in realtà l’essenza della dottrina libertarian promossa da Musk.

Per quasi un secolo ci siamo lasciati spaventare in maniera pressoché costante, aspettando l’inevitabile fine del nostro mondo per mano di forze invincibili, e ognuno di noi ha affrontato quest’incubo sostanzialmente da solo. Haruki Murakami ha ragione quando scrive in 1Q84: “Ognuno dentro di sé attende con ansia l’arrivo della fine del mondo”4 e lo fa in solitudine. Politica della paura: questa è la definizione del nuovo stato di paranoia esistenziale permanente con cui conviviamo. Una paranoia che ha eroso la resilienza umana proiettando a ripetizione nella nostra mente il film di un futuro sempre più oscuro, denso di pericoli insormontabili e incomprensibili, un domani distopico. Il nostro unico conforto è stato l’accesso illimitato ai frutti della crescita economica, vale a dire un premio di consolazione: consumare, nella vita reale o virtualmente. Ma il consumismo non è che un rimedio provvisorio.

Nell’immaginario collettivo, il connubio tra politica della paura e consumismo ha corroso ogni possibilità di trasformazione positiva, facendo del presente una degenerazione del passato, qualcosa di cui aver paura. In questo scenario desolante, la reazione più comune è crogiolarsi nella nostalgia, idealizzare il passato e detestare il presente e il futuro. Per questa ragione, non siamo interessati a comprendere e controllare la tecnologia – prodotto del Futuro Presente – e siamo felici di essere consumatori, clienti, persino dati, in un modo che si adatta ai nostri bisogni immediati ed egocentrici: le persone non amano il modo in cui Uber tratta gli autisti, ma continuano a digitare il loro indirizzo sull’app per chiedere un passaggio. Anche coloro che sono disposti a comprendere e ad abbracciare il cambiamento combattono quotidianamente l’ansia prodotta dal pessimismo dell’era dell’Antropocene.

L’Antropocene è l’era in cui non è più la natura a guidare il cambiamento, al timone del pianeta ci sono invece l’umanità e la sua creatura Frankenstein, l’intelligenza artificiale. Finora questa trasformazione ha causato soprattutto angoscia, perché ci concentriamo solo sui suoi risvolti negativi – l’avvento dell’AI si verifica in contemporanea con la perdita di aria pulita, lo scioglimento dei ghiacciai, la scomparsa delle barriere coralline, l’estinzione su vasta scala di decine di migliaia di specie animali, l’alterazione delle quattro stagioni – e quindi per noi è difficile discernere gli aspetti positivi della trasformazione tecnologica che ci sta travolgendo e prenderne le redini. Così iniziamo a detestare il cambiamento, anziché accoglierlo; invece di sfruttarlo a nostro vantaggio ci abbandoniamo all’idillio nostalgico della Natura. Questa nostalgia inattiva, però, è solo un altro rimedio provvisorio: non salverà il pianeta né i suoi abitanti dall’apocalisse climatica.

Benché ne facciamo parte anche noi, la Natura non ci è mai stata amica. L’evoluzione della nostra specie è la storia di un lungo e spettacolare conflitto tra l’umanità e la Natura, una guerra combattuta su più fronti non da singoli individui, ma insieme, contro gli animali predatori e le catastrofi naturali. È significativo che durante la Guerra fredda questa narrazione sia riemersa, utilizzata per giustificare la corsa allo spazio. Poco prima di diventare il primo uomo nello spazio, il cosmonauta Jurij Gagarin disse: “Impegnarsi, da soli, in un duello senza precedenti con la natura: si può sognare di meglio?”5. Ora corriamo al 2020, anno in cui abbiamo assistito a un vero e proprio esempio di quanto la scienza e la tecnologia moderne possano essere decisive nel proteggere la nostra specie dai virus microscopici e letali della natura, anno in cui sono stati sviluppati i vaccini contro il Covid-19. Allo stesso tempo, però, abbiamo assistito a un altrettanto grande fallimento dello spirito umano, perché gli stessi governi che avevano investito risorse in quegli sforzi si sono rifiutati di fornire la nuova tecnologia ai Paesi poveri, il che avrebbe debellato la pandemia in tutto il mondo anziché arricchire un pugno di case farmaceutiche (Big Pharma). E nessuno di noi occidentali si è ribellato.

Oggi, però, il vero pericolo non viene da una Natura selvaggia. Oggi il nemico è lo squilibrio tra la domanda e l’offerta di risorse della Terra, uno squilibrio che paradossalmente è stato innescato proprio dal nostro straordinario successo come specie. Sì, siamo noi la causa del problema, ma siamo anche la soluzione, o possiamo esserlo. La tecnologia, prodotto dell’era dell’Antropocene, può aiutarci a patto che impariamo a controllarla e ad avvalercene in maniera appropriata, e cioè a metterla al servizio del bene comune. Se lasciata nelle mani dei Tecnotitani, al contrario, danneggerà noi e il pianeta. Basti pensare alla rivoluzione tecnologica dell’auto elettrica, che consuma una frazione dell’energia da idrocarburi dei veicoli tradizionali, a condizione però che l’elettricità sia generata da fonti rinnovabili. Ben poco – o quasi nulla – viene fatto per affrontare il problema della produzione e dello smaltimento delle batterie delle auto elettriche, che hanno una considerevole impronta di carbonio. Perché? Perché l’obiettivo finale di chi controlla questa tecnologia rimane la redditività, non la sostenibilità; cioè l’avidità, non il bene comune.

I veicoli elettrici e, di conseguenza, i loro principali produttori, come Tesla, sono un buon esempio dei pericoli di un’innovazione tecnologica circoscritta alla mera redditività. Uno studio del 2017 sui veicoli elettrici in Cina, pubblicato sul “Financial Times” quattro anni dopo6, ha dimostrato che la produzione di un’auto elettrica emette fino al 60 per cento in più di anidride carbonica rispetto alla fabbricazione di un’auto tradizionale, soprattutto a causa dell’impronta di carbonio delle batterie.

Siamo a un punto della nostra evoluzione nel quale la tecnologia può permetterci di riequilibrare la domanda e l’offerta di risorse e di raggiungere la sostenibilità. Una possibile strategia è quella di guardare oltre il Pianeta blu, a partire dall’orbita terrestre bassa (in inglese Low Earth Orbit, LEO). Colonizzarla per lo sfruttamento di risorse, avviare stazioni spaziali sulla Luna, estrarre materiali dagli asteroidi e, chissà, persino costruire pianeti artificiali per soddisfare le nostre esigenze industriali e creare un sistema di ferrovie cosmiche per raggiungerli: questi progetti non appartengono più alla fantascienza, potrebbero benissimo diventare capitoli decisivi nel prossimo volume della storia della nostra specie. Perché no? Dalle prime migrazioni dei cacciatori-raccoglitori all’invenzione della ruota, ai primi viaggi per mare intorno al globo basati sullo studio del moto degli astri in cielo, raggiungere nuove frontiere e scoprire nuove terre è sempre stato uno dei tratti in cui gli esseri umani hanno brillato di più. Ed è interessante notare come spesso ad avventurarsi verso queste frontiere sconosciute fossero persone comuni, non i ricchi e potenti. A volte erano spinti da persecuzioni religiose o dalla disperazione economica.

Le migrazioni hanno salvato l’umanità da carestie, fame e guerre. Le prime forme di globalizzazione hanno trainato il progresso culturale e tecnologico. Perché dovremmo fermarci ora, perché non dovremmo guardare al cosmo come i nostri antenati guardavano alle terre dall’altra parte dell’oceano? Perché dovremmo lasciare che i Tecnotitani proprietari delle compagnie spaziali private ci rubino questo sogno? Non commettiamo lo stesso sbaglio dei nostri bisnonni che alla fine del XIX secolo non hanno fermato l’avanzata dei robber barons, una manciata di potenti uomini d’affari, industriali senza scrupoli, oligopolisti privi di principi etici che hanno derubato per decenni l’intera nazione americana.

È pur vero che lo spazio ci terrorizza: è il grande sconosciuto. Nel futuro che ci è dato prevedere, l’universo presenta anche ostacoli reali e per ora insormontabili per la nostra sopravvivenza su altri pianeti o addirittura nello spazio. Il problema principale è la biologia. I nostri corpi non possono funzionare senza Madre Terra: senza la gravità, la rotazione e il campo magnetico del nostro pianeta, i corpi si deteriorano. Tuttavia, l’attraversamento dell’Oceano Pacifico dalla Polinesia all’Isola di Pasqua in canoa, intorno al 300 d.C., fu altrettanto terribile e pericoloso, e comportò il superamento di ostacoli di pari grandezza. Eppure, ce l’abbiamo fatta!

Se non possiamo colonizzare lo spazio a causa delle limitazioni biologiche del nostro corpo, forse può farlo la nostra ultima invenzione, l’intelligenza artificiale, i robot. Potremmo dirigere e supervisionare il loro lavoro da stazioni spaziali nell’orbita terrestre bassa. Ma l’obiettivo di questo sforzo fenomenale deve essere quello di migliorare la vita di tutti gli abitanti della Terra e salvare il nostro bellissimo pianeta. Non è ciò che sta accadendo: cablare l’orbita terrestre bassa come sta facendo Starlink ha lo scopo di aumentare i profitti di Elon Musk, e l’accesso alla rete in zone remote nasconde gli effetti potenzialmente disastrosi di questo investimento per l’umanità.

Finora, le attività dei Tecnotitani e dei Baroni dello Spazio hanno messo a repentaglio il bene comune. Per due decenni, approfittando della velocità dei cambiamenti che costoro sanno cogliere meglio di tutti noi, hanno sottratto potere allo Stato-nazione per trasformare le nostre vite in merci e noi in consumatori. Più recentemente, per espandere i loro monopoli hi-tech e le loro fortune, hanno preso di mira l’orbita terrestre bassa. Per conseguire i loro obiettivi stanno costruendo nebulose di laboratori satellitari privati da dove monitorano e condizionano le nostre vite. Hanno preso in ostaggio l’innovazione tecnologica e l’hanno usata per disumanizzarci e accumulare ricchezze inimmaginabili. Se per anni la politica della paura ci ha impedito di comprendere il potenziale positivo della trasformazione epica che stiamo vivendo, i Tecnotitani hanno fatto di peggio, hanno bloccato l’accesso alla tecnologia e hanno costruito i loro oligopoli, impedendoci di comprendere e far tesoro dei suoi benefici per la causa più nobile: guarire il pianeta e le persone. È questo il vero motivo della pandemia d’ansia.

Note

1 B. Bandelow, S. Michaelis, Epidemiology of Anxiety Disorders in the 21st Century, in “Dialogues in Clinical Neuroscience”, vol. 17, n. 3 (primavera 2015), pp. 327-335, https://www.tandfonline.com/doi/full/10.31887/DCNS.2015.17.3/bbandelow.

2 T. Bell, The History of Steel: From Iron Age to Electric Arc Furnaces, in “ThoughtCo.”, 21 agosto 2020, https://www.thoughtco.com/steel-history-
2340172.

3 Bessemer Process, in “Britannica”, https://www.britannica.com/techno-
logy/Bessemer-process.

4 H. Murakami, 1Q84, Einaudi, Torino 2011.

5 N. Krook, These Are The Best Quotes on Outer Space You Need To Know, in “The Space Tester”, 21 agosto 2020, https://www.thespacetester.com/best-quotes-on-outer-space.

6 C. Tilford et al., How Green Is Your Electric Vehicle?, in “Financial Times”, 5 ottobre 2021, https://ig.ft.com/electric-car/.

© Loretta Napoleoni, Tecnocapitalismo. L’ascesa dei nuovi oligarchi e la lotta per il bene comune, Meltemi 2025

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