Arte partecipativa in Corea
Conversazione con Hyesoo Park
Carmen Lorenzetti
Hyesoo Park - Oasis Altar, 2021, Floral foam, dried flowers with dead time recorded, Variable Dimension, BMA. Image Courtesy. (Commissioned by BMA)

12.08.2023

Seoul, Corea, 11 luglio 2023

Hyesoo Park è un’artista che usa tecniche partecipative complesse con la collaborazione di artisti, ricercatori e specialisti di varie discipline. Il pubblico, che viene chiamato ad interagire, si trova immerso in situazioni che illustrano stati emotivi penosi e di estrema fragilità. Si tratta di un modo per descrivere la società coreana e in prospettiva una condizione generale e diffusa. Le sue mostre usano diverse strategie come il video, la fotografia, l’installazione, la performance per coinvolgere il pubblico in un percorso relazionale intimo e toccante.

Tra le sue ultime personali: Monophobia all’Art Centre Art Moment, Seoul (2022), Come Closer, But Not That Close, Kyobo Art Space, Seoul (2020), tra le ultime collettive: 15 Biennale di Sharjah (2023), Goodbye to love, Marres, Maastricht, Olanda (2023), So-Called Normal Family, Suwon Museum of Art, Suwon, Corea (2023), My Your Memory, MMCA, Seoul (2022), Paradise Art Lab, Art Space, Incheon, Corea (2022), The Poetic Collection, Seoul Museum of Art, Seoul (2022), HYBRID BATON: Atypical Feast, Gallery Baton, Seoul (2022). Nel 2019 ha vinto il Korea Artist Prize.

CL: Da dieci anni lavori sul progetto Dialogue Archive, in cui approfondisci alcuni temi che descrivono la condizione umana della società coreana.

HP: Il primo dei temi che ho affrontato nel 2011 per il progetto riguarda i sogni abbandonati (abandoned dreams), un tema che la gente non ama. Nella nostra società le cose spariscono e la società si deve adattare ai cambiamenti, che avvengono in modo troppo veloce. Così si creano ossessioni e la gente non regge e rinuncia all’amore e alle emozioni, in favore del successo, che è diventato il valore guida della nostra società. Inoltre mostrare le emozioni ti può rendere vulnerabile in una società competitiva come quella coreana.

CL: Potresti descrivere meglio queste caratteristiche della società coreana?

HP: La società coreana, la vita e la cultura aziendale è molto simile a quella giapponese. Siamo educati ad essere carini con gli altri, a non esprimere le emozioni, soprattutto quelle negative, anche se si è nel giusto. Adesso le cose stanno cambiando, soprattutto per quanto riguarda le donne.

Un progetto portato avanti per dieci anni, dal 2013 al 2023, ruota attorno alla fine delle storie

d’amore (Goodbye to Love)1 per il quale ho ricavato mille risposte da un sondaggio e trenta interviste alle persone che si erano lasciate e ho raccolto centocinquanta oggetti significativi (memorabilia) dei “cuori abbandonati” (Broken Hearts): ho inserito questi dati in una drammaturgia che ha occupato i diversi piani dell’Art Centre Art Moment di Seoul (2022).

CL: Mi sembrano condizioni umane diffuse.

HP: Noi abbiamo una parola che definisce una condizione di normalità: Botong (보통) e che rispecchia la quotidianità coreana in una società che si sviluppa in modo più rapido ad esempio che la società europea e abbiamo un’altra parola proprio per questo: bali bali, cioè veloce, veloce. Il Botong – la normalità – è la condizione a cui tutti aspirano qui: essere uguali e ricchi.

Le persone non sono felici e soffrono di solitudine, il ponte Mapo a Seoul è tristemente noto per l’alto numero di suicidi, mentre il governo nega che molte persone sole si suicidino. Una su sei persone in pensione vive sotto il livello di povertà e molte di queste si suicidano in solitudine, Kodokushi (the lonely death), alcune vanno da sole nella foresta e si lasciano morire, la maggioranza si suicida nel proprio appartamento, altri ancora si buttano dal ponte.


Cl: Mi stai dipingendo una società molto triste.

HP: Si, un’altra pratica diffusa è quella dell’Hikikomori, cioè stare in disparte, ritirarsi dalla vita sociale e quindi vivere in solitudine.

Questa condizione caratterizza soprattutto, ma non solo, i Nord Coreani che sono immigrati in Corea del Sud e non sono accettati dalla società, che li emargina. Loro stessi si autoescludono dato che non capiscono bene la lingua, nè l’inglese e si trovano fuori dal sistema del welfare, dall’educazione.

CL: Hai fatto un progetto su questo tema?

HP: Si tratta del lavoro esposto alla mostra collettiva Border 155 del 2017 al Seoul Museum of Art. Ho fatto una ricerca su come i sudcoreani vedono i nordcoreani e ho usato una cartina trasparente con delle parole e una luce fluorescente: erano le parole che i nordcoreani sentono dai sudcoreani. Gli emigranti mandano i soldi a casa, ma la famiglia non vuole venire a vivere in Corea del Sud e soffrire di solitudine e di emarginazione, quando anche di imbrogli e tradimenti.

C’è il Ministero dell’Unificazione delle due Coree, che nell’unificazione vede anche un modo per superare il problema della denatalità in Corea del Sud.

Io volevo fare qualcosa, quindi sono andata alle dimostrazioni che si fanno a Seoul ogni sabato sugli argomenti più svariati, come il clima o altro, perché ero curiosa di conoscere i pensieri dei partecipanti.

CL: Tu ti focalizzi su un aspetto psicologico, che diventa un paradigma sociale.

HP: Io penso all’empatia, penso che si debbano recuperare le emozioni, i sentimenti. Sono quelle che portano all’azione, mentre la razionalità non smuove le persone. Per questo faccio una ricerca sulle emozioni. Faccio delle domande scritte su dei fogli a cui gli spettatori devono rispondere e così si dispongono in modo aperto alla mostra. Io a questo punto considero il mio più un lavoro sociale che arte. Ad esempio adesso sta nascendo il fenomeno dell’affitto della famiglia, che appartiene alla cultura coreana e giapponese, ed è un modo per non suicidarsi. Ho fatto il progetto Perfect Family nel 2019 in cui un libro-brochure mostrava tutte le fasi ed i servizi per ottenere a pagamento una famiglia in affitto per i diversi momenti soprattutto pubblici e sociali delle persone, come per i matrimoni, i funerali ecc. ecc. Noi abbiamo una popolazione vecchia, soprattutto di ottantenni, abbiamo già fatto cenno al Kodokushi, un fenomeno che è nato in Giappone ed è apparso cinque anni dopo in Corea. La famiglia fittizia è nata prima in Giappone, negli anni 80 e poi è arrivata in Corea negli anni 90.

I giovani sono diventati più individualisti e non gli importa dei vecchi, vogliono vivere la loro vita. La gente si è veramente iscritta al programma Perfect Family, senza sapere che era un falso. Io ho fornito questo servizio gratuitamente come una situazione di performance individuale, da cui ho tratto fotografie e registrazioni video. Tuttavia, anche se nascosto, questo business esiste in Corea. E mi hanno chiesto di fare veramente il progetto. Ma sarebbe solo un’altra situazione perturbante e strana.

CL: Ma quando è iniziata tutta questa tristezza?

HP: Negli anni 80 alle Olimpiadi, c’è stato uno sviluppo veloce e una grande volontà di mostrarsi al mondo. Poi nel 2002 con la Coppa Mondiale.

Non ci sono più aspettative, l’unico fine è quello del fare ed essere i migliori. I giovani poi non risparmiano, perché guadagnano meno dei genitori, e non è nella loro mentalità. La gente non emigra. Pensano che comunque è meglio qui e non vuole andarsene.

Un altro termine contemporaneo è Hwa-Byung (hangul: 화병, hanja: ), una malattia che colpisce soprattutto le donne coreane e che è parte delle “sindromi collegate alla cultura”, dovuta alla consuetudine sociale di non esternalizzare i propri sentimenti. I sintomi includono sia fattori fisici (palpitazioni cardiache, costrizione toracica, affaticamento, mal di testa, indigestione, sensazione di debolezza, arrossamento del viso e del corpo), che psicologici (ansietà, rabbia, depressione).

L'aiuto del governo non basta, ma soprattutto il problema è che i mariti ignorano l'assistenza all'infanzia. Nella società coreana, l'educazione dei figli è responsabilità delle donne e le donne non possono vivere la propria vita perché devono prendersi cura dei genitori anziani e dei suoceri.

Pertanto, dal punto di vista delle donne che vogliono avere il proprio lavoro, avere figli o sposarsi le mette inevitabilmente sotto forte pressione, con il fine di farle rinunciare alla loro carriera. Pertanto, la politica del governo di dare soldi quando nasce un bambino è inevitabilmente difficile che abbia successo. A meno che non ci sia un cambiamento nella percezione sociale legata al fatto che l'assistenza all'infanzia e la cura siano un lavoro esclusivo delle donne.

CL: Come hai affrontato questo tema nel tuo lavoro?

HP: Ho fatto una versione per Perfect Family del Forum Theater: URI in cui ho diviso le persone in due gruppi, la conversazione con le persone partiva dalla frase “Mafia Membership” (2020) (il cui titolo si riferisce ad una forte coscienza collettiva) e vi erano negoziazioni con un sociologo, che non sé accettato generalmente dalla gente, anche se adesso le cose stanno un po’ cambiando. La gente riusciva a parlare meglio se non si vedeva in faccia, abituata com’è ad usare i social-network. Comunque essere fisicamente presenti, è importante. E penso che sia deleteria la politica del Governo di incoraggiare l’uso degli strumenti tecnologici dall’età dei tre anni.

CL: Quali erano le finalità della del gioco delle carte?

HP: Un esercizio per costruire amicizie: infatti il gioco è chiamato BFF (Best Friends Forever). Io davo delle carte caratterizzate dai valori più o meno: il più significa che qualcuno vuole essere tuo amico, il meno che non ti vuole nessuno perché hai un cattivo carattere. E’ un gioco da fare in presenza e soprattutto con i professori, perché lo pratichino poi con gli studenti.

L’arte può essere un modo per migliorare. La scuola superiore è vista solo come un mezzo attraverso cui approdare all’università e il voto è l’unica cosa importante. Tutto è finalizzato alla ricchezza e al successo e quindi bisogna avere dei buoni voti e se non si ottengono e non si riesce ad accedere ad una buona università è una tragedia. Invece in Finlandia ad esempio non danno i compiti, così da potere sviluppare altre capacità.

CL: Non descrivi né una società felice, né una gioventù sicura di sé, anzi bisognosa di una guida…

HP: Già. Molti giovani chiedono ancora il permesso di sposarsi, perché la convivenza non è vista bene. Altrimenti, vivono con i genitori che li mantengono, perché la vita è costosa. La velocità dello sviluppo economico è dovuta anche al fatto che i soldi vanno alla famiglia e non al singolo e questo crea vari problemi, tra cui la violenza familiare. I problemi familiari devono essere risolti in famiglia. La reputazione della famiglia è molto importante in questa società. I ragazzi possono suicidarsi per la vergogna (ad esempio se non accedono all’università migliore). Non c’è mobilità sociale. La gente non si sposa più, ma il welfare va alla famiglia, come dicevo, e questo è un problema.

CL: Quali sono i tuoi autori di riferimento?

HP: Susan Sontag, Slavoj Žižek, Hannah Arendt, Bertold Brecht, Augusto Boal. E tra i film: Parasite di Joon-ho Bong, Burning di Chang-dong Lee.

CL: Progetti futuri?

HP: Porterò avanti il mio lavoro Goodbye to Love, che presenterò a Marres nell’ottobre del 2023. La rottura di una storia d’amore e ancora prima anelare l’amore, sulla scia del film giapponese Memorie di Matsuko del 2006, fino all’autodistruzione e alla follia, si contrappone alla difficoltà di parlare d’amore oggi. In Corea è difficile parlarne, perché mentre si fa, si scivola inevitabilmente a parlare di famiglia. E poi l’amore è diventato fuori moda in Corea.


1 Goodbye to Love è anche il titolo della prossima mostra collettiva in Olanda, cui parteciperà l’artista (inaugurazione a settembre del 2023)



Hyesoo Park, Goodbye to Love (still from video) - Flower in Love, 2023, Single Channel Video, Co-directed by Sojeong Lee. Hyesoo Park Image. Courtesy. (Commissioned by Marres, NL)