Con Michel Serres verso forme postumane di soggettività
Orsola Rignani

24.03.2024

Le assonanze e le co-implicazioni tra la riflessione di Michel Serres e le idee postumaniste di corpo e soggettività (Alaimo, Braidotti, Marchesini) si possono riconoscere agevolmente, soprattutto se, seguendo l’esempio serresiano, si fa leva su una preposizione e la si assume come dispositivo metodologico per sondare/esplicitare le stesse assonanze.

Quella che qui sembra fare al caso è trans, attorno alla quale non per niente Serres sviluppa il suo pensiero sul tradurre (traduire, trans-ducere) e la traduzione (traduction) (M. Serres, Hermès III. La Traduction, Les Éditions de Minuit, Paris, 1974) come operazione del tradurre e applicazione che, in quanto tale, permette di misurare le trasformazioni del “messaggio” e il range di variazioni tra i limiti estremi della trazione al di sotto della soglia dell’invariante.

È così allora che si può provare a impiegare “metariflessivamente” l’operazione della traduzione come strumento metodologico, facendo agire trans allo scopo di focalizzare le sovrapposizioni, gli slittamenti e le dinamizzazioni (in questo caso appunto l’invariante attraverso le variazioni) tra l’idea serresiana del corpo psico-fisico, cognitivo, metamorfico, ibridante e le idee postumaniste di una dimensione corporea costitutiva dell’umano postumano (Marchesini) –che si “coagulano” nella trans-corporeità (Alaimo) e nel corpo-senza-organi– e di una soggettività non (solo) umana, incarnata, trasversale, relazionale (immanente a una rete di relazioni non umane) e nomade (Braidotti).

È scontato che parlare di co-implicazioni e variazioni all’interno di un’invariante significa indicare assonanze (magari involontarie/inconsapevoli), slittamenti reciproci, sovrapposizioni, annodamenti e snodamenti, in una processualità e in un dinamismo che si rivelano più interrogativi che responsivi. Detto ciò, comunque, quello che in primo luogo risalta come invariante tra Serres e le Posthumanities è l’implicazione dell’umano nei processi (geofisici) dell’universo e l’esposizione/implicazione corposa/corporea della soggettività umana negli intrecci (materiali) di trasformazione del mondo.

Il corpo psico-fisico-estetico-cognitivo-ibrido-dimensionale serresiano, fulcro/luogo di una (nuova) soggettività anticartesiana, contingente e relazionale (M. Serres, Variations sur le corps, Le Pommier, Paris, 1999), appare infatti come inter-traducibile col corpo postumanista “pregnante”, (sovra)abbondante, psico-fisicamente flessibile, proteso verso la coniugazione intenzionale, soglia di dissoluzione dei confini dentro/fuori, soggetto/oggetto. Al di là delle variazioni, Serres e le Posthumanities sembrano pertanto convergere nella ri-declinazione dell’idea dualista/umanista dell’avere un corpo (corpo come strumento/fardello) nel concetto dell’essere un corpo (corpo come dimensione relazionale ibrida antropo-poietica dell’umano) (R. Marchesini, Essere un corpo, Mucchi, Modena, 2020).

Essere un corpo che peraltro implica un aderire plasticamente e metamorficamente alle cose, un attraversarle ed esserne attraversati e un fondersi porosamente con loro, che, senza troppo azzardo, possono “tradursi” nell’idea postumanista di trans-corporeità.

Come è noto, quando Stacey Alaimo parla di trans-corporeità in riferimento all’umano, ha infatti in mente, a monte di qualsiasi curvatura e implicazione, il soggetto corporeo umano generato da e intrecciato con sistemi, processi ed eventi biologici e tecnologici, cioè, lato sensu, attraversato da sostanziali interscambi materiali, secondo la prospettiva di un’embricazione tra l’umano e l’altro-dall’-uomo per cui il corpo umano è interpenetrato/inter-implicato con il mondo più-che-umano (S. Alaimo, Bodily Natures: Science, Environment, and the Material Self, Indiana University Press, Bloomington, 2010).

Nella co-implicazione tra Serres e Alaimo aggetta pertanto un’idea dell’umano dopo l’Uomo, emancipato da dualismi, gerarchie ed eccezionalismi, attraversato orizzontalmente da agentività e forze e immerso corporalmente in relazioni intricate.

A questo punto poi la preposizione trans conduce a individuare due processi di slittamento: da un lato quello della corporeità metamorfica ibrida serresiana e della trans-corporeità verso l’idea di soggettività complessa, polimorfa, relazionale, trans-versale, inclusiva, nomade proposta da Braidotti e da altri postumanisti (R. Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, DeriveApprodi, Roma, 2014); e dall’altro quello della stessa corporeità serresiana, metamorfica e toti-potente, verso il corpo-senza-organi, nella reinterpretazione postumanista della nozione deleuziana-guattariana nel senso di estensione del corpo, al di sotto degli organi e oltre la corporeità, nel mondo più-che-umano.

Al limite estremo della “trazione” misurabile dalla “traduzione” è qui rintracciabile, infatti, quello che Serres intende per sub-jectum, cioè ciò che è gettato sotto le cose e metamorfosato in esse (M. Serres, Il mancino zoppo. Dal metodo non nasce niente, Bollati Boringhieri, Torino, 2016). L’operazione di traduzione sembra infatti in questo caso dare come risultato, sovrapposto e intrecciato ai precedenti, il corpo-senza-organi. Nel senso postumanista appunto di “livello sub-personale, non ancora organizzato, di qualità affettive che permette nuove percezioni, nuove connessioni e nuovi affetti” (P. Pisters, Body Without Organs, in R. Braidotti-M. Hlavajova (Eds.), Posthuman Glossary, Bloomsbury, London, 2018, pp. 74-76) e di soggettività non autosufficiente che, proiettandosi al di sotto di categorie e codici, può creare connessioni trasversali tra umano e non umano.

Tanti altri futuri presenti verosimilmente additano Serres, il suo trans e la sua traduzione; è già comunque impegnativo e sfidante il fatto che ci “trans-ducano”/“in-ducano” in soggettività (più-che-) umane dopo l’Uomo…