Fare femminismo all'università
Melania Moltelo

13.08.2022

Scrivo queste riflessioni spinta dalla gioia per le nuove proposte accademiche relative agli studi di genere, dai master e i dottorati dedicati ai numerosi seminari, e in generale per la viva sensibilità per le questioni che mi sembra si stia diffondendo anche in Italia.

Questa circostanza abbastanza inedita mi ha fatto riprendere tra le mani un saggio di Christine Delphy del 1981 dal titolo Il patriarcato, il femminismo e i loro intellettuali, caratterizzato da quell’arte del sospetto che distingue il femminismo radicale e capace di porre una problematizzazione dei meccanismi di istituzionalizzazione.

La verifica dei poteri forti avviata da Delphy è ben sintetizzata da una sua stessa domanda: «in che modo quelle fra di noi che hanno un legame istituzionale alla classe intellettuale possono fare in modo che l’università serva al femminismo e non il femminismo all’università?». L’università, come scrive Delphy, riesce a produrre per lo più conoscenze di stampo analitico e spesso incomprensibili alle masse, che sono il corpo vivo delle rivolte, e a rafforzare l’isolamento elitario del gruppo di intellettuali. La conoscenza istituzionalizzata rovescia il meccanismo delle alleanze: finisce per divenire alienante per le/gli oppresse/i e innocua per gli oppressori, si trasforma nella base di una sottile complicità fondata sull’esclusione dei non-intellettuali di cui le femministe fanno abbondantemente parte.

Come denuncia bene Delphy, l’ingresso delle femministe all’università non garantisce un avanzamento della lotta; quest’ultima è possibile se si tiene a mente la sofferenza di tutte coloro che ne sono escluse, che vivono ancora in situazioni di disagio e marginali, così da utilizzare tutti i mezzi e le risorse disponibili per mettere fine a una situazione realisticamente opprimente.

L’accesso all’università concede altresì il conferimento di un alto grado di serietà alle questioni di genere e consegna queste ultime a una «spassionatezza» prima sconosciuta: una «protezione» a tutti gli effetti contro la nostra collera di oppresse. Ma dimenticare anche solo un attimo la nostra collera significa tradire la nostra causa, asservirla al mito purificatore della scienza e scivolare dal lato delle istituzioni. Posizionarsi in senso rivoluzionario rispetto all’università vuol dire, allora, denunciare necessariamente la doppia mistificazione propria del discorso scientifico: il rafforzamento dell’ideologia dominante, la neutralizzazione scientifica che occulta il dato storico dell’oppressione delle donne.

Per questo motivo scrive la sociologa francese: «Quando una questione femminista, per esempio quella del lavoro domestico, diventa un argomento accademico; quando viene trattata come tale, cioè come emanante dalla coscienza pura – un mito patriarcale e borghese, allora il femminismo viene, deliberatamente o meno, tradito. L’unica ragione valida per studiare il lavoro domestico, dato che siamo nella posizione privilegiata di poterlo studiare, è che milioni di donne, ogni giorno e ogni minuto, soffrono nella loro carne il fatto di essere nient’altro che massaie». Sembra di ritrovare intuizioni care alla teoria critica che, denunciando l’effetto contro-rivoluzionario di una spiritualizzazione della realtà, rivendica l’immanenza della società nel pensiero. Il fine autentico della ricerca, anche nel caso del femminismo, è la sovversione dei rapporti di forza.

Fare femminismo all’università è un’occasione imperdibile, a patto di tenere ancora viva la coscienza di essere le stesse di cui analizziamo l’oppressione, di difendere il «noi» di cui parla il discorso femminista contro qualsiasi isolazionismo autoritario.

Le femministe appassionate, incollerite, sono le traditrici della loro condizione di privilegio, le sovvertitrici dei discorsi egemoni, le smascheratrici della falsa universalità dei saperi, perché, d’altronde, come scrive Delphy stessa, «quando una femminista è accusata di essere esagerata vuol dire che è sulla buona strada». L’augurio è che la passione dia all’università il suo senso di spazio politico.