Incontri troppo ravvicinati?
Stefano Anastasìa
25.02.2023
Il testo che qui pubblichiamo è la Prefazione al volume di Vincenzo Scalia, Incontri troppo ravvicinati?, edito da Manifesto libri.

Prefazione

Da più di vent’anni, ormai, l’Italia ha un problema con le forze di polizia. Il G8 di Genova del 2001 è stato il trauma di una generazione nel rapporto con la politica e con le istituzioni, rappresentate sul campo dalle forze di polizia (le diverse forze di polizia), ciascuna per propria parte in abito da combattimento contro civili inermi o resi inoffensivi. Quelle vicende (la morte di Carlo Giuliani in Piazza Alimonda, l’irruzione nella scuola Diaz e poi le violenze e i trattamenti inumani e degradanti inflitti agli arrestati nella caserma di Bolzaneto) restano una macchia sulla credibilità delle istituzioni repubblicane e delle forze di polizia in particolare.

Da allora abbiamo imparato a riconoscere con maggiore consapevolezza il rischio (e la pratica) dell’abuso di polizia, sia in danno di singoli, da Federico Aldrovandi in poi, sia nelle dinamiche collettive, dalle proteste di piazza a quelle in carcere, come nel più recente caso di Santa Maria Capua Vetere.

Non che queste cose nascono oggi, o ieri, a Genova. La polizia, come ci ricorda Vincenzo Scalia in questo libro, esercita su delega di altre istituzioni il monopolio della violenza che lo Stato rivendica per sé. E nella storia dell’Italia unita (come in quella di tutti gli Stati moderni) non sono mancati episodi e momenti in cui la dimensione violenta del potere di polizia si è slatentizzata, manifestandosi in pratica repressiva degli oppositori, politici o sociali. Così è stato nella repressione del brigantaggio meridionale, in quella delle sollevazioni popolari a cavallo tra Otto e Novecento, nella condiscendenza al regime fascista, nella repressione delle manifestazioni popolari nel secondo dopoguerra del secolo scorso.

Ma il conflitto sociale e politico degli anni Settanta, che - tra le altre cose - ha portato con sé la smilitarizzazione del corpo di polizia e progetti di community policing sul modello anglosassone, trent’anni fa sembrava aver aperto una nuova stagione, che appariva del tutto coerente con l’enorme fiducia popolare riposta nelle forze di polizia come braccio destro della magistratura nelle inchieste sulla corruzione politica dei primi anni Novanta e, soprattutto, nella repressione della criminalità organizzata stragista.

Nonostante non siano mancati episodi e denunce di senso contrario (la repressione di una protesta nonviolenta nel carcere di Sassari, e poi quella della manifestazione contro il Global Forum a Napoli, nella primavera del 2000, per fare due esempi), una generazione di attivisti ha scoperto a Genova 2001, sulla propria pelle, il braccio violento della legge. E molti impegnati in campagne legalitarie contro le mafie ancora non riescono mettere insieme i due volti del potere di polizia, quello rassicurante del contrasto alle mafie e quello inquietante della repressione di piazza, se non dell’abuso su singoli appartenenti alle categorie dei suitable enemies della cultura poliziale.

Non meno inquietante è l’interrogativo più volte proposto da Luigi Manconi, riguardo la subalternità del potere politico alle forze di polizia, frutto – nella sua valutazione – di un timore che il primo avrebbe delle seconde e della loro affidabilità democratica.

Importante è, quindi, come fa Scalia in questo libro, tornare a studiare la polizia, scegliendo di mettere alla prova delle acquisizioni della letteratura scientifica anglosassone alcune vicende specifiche che hanno segnato la storia italiana recente, dalle morti di Federico Aldrovandi e di Riccardo Magherini, alla gestione degli ordini di confinamento durante la prima fase del Covid in Italia.

Come ci ricorda Scalia, gli studi sulla polizia in Italia sono stati principalmente studi della istituzione nei suoi rapporti con la storia nazionale e con quella delle altre istituzioni pubbliche. E' mancata, invece, una produzione scientifica paragonabile a quella di altri Paesi sulla cultura e le prassi diffuse delle forze di polizia, sulla canteen culture e i saperi di polizia. In parte questo è il portato della stessa struttura istituzionale della polizia in Italia, che – secondo il modello continentale che Scalia descrive puntualmente sin dalla introduzione – è chiusa in se stessa, organizzata verticisticamente e rispondente a input che non consentono l’apertura alle istanze della comunità quanto a studi scientifici che necessitano di autonomia e trasparenza.

D’altro canto, però, la storia di questi vent’anni e il sudato (per quanto maldestro) reato di tortura introdotto nel 2017 nell’ordinamento penale italiano, hanno offerto casi e documentazione pubblica istituzionale, come quella che Scalia utilizza nella ricostruzione delle vicende di Aldrovandi e Magherini, e dunque le forze di polizia debbono aprirsi bon gré mal gré a una qualche forma di accountability sul proprio operato. Né va dimenticato che il Garante nazionale delle persone private della libertà, istituito nel 2014 e nominato nel 2016, in qualità di National Prevent Mechanism del Sottocomitato Onu contro la tortura, ha facoltà di sindacare l’operato delle forze dell’ordine anche al di fuori delle ordinarie procedure penali o disciplinari.

Qualche breccia, dunque, si è aperta, ma le resistenze sono ancora forti (si pensi all’impossibilità di identificare gli agenti operanti, sia nelle operazioni di strada che in ogni altra azione a volto coperto). E allora serve studiare, come fa Scalia, nelle cronache e negli eventi le caratteristiche e gli stilemi dei saperi di polizia, in modo da sottrarre “il caso” al suo farsesco destino di “mela marcia”, per ri-conoscerne le disfunzioni istituzionali e la possibilità della loro contestazione.

Resteranno, anche alla fine, il rischio e la pratica dell’abuso, intimamente legati alla natura del potere di polizia. Se da una parte il potere di polizia non può che servire classi e opinioni dominanti, dall’altra consiste proprio nella capacità di tracciare linee di demarcazione tra ciò che in concreto merita di essere perseguito e di ciò che no. In questa discrezionalità al servizio del potere dominante c’è sempre il rischio dell’abuso. La conoscenza scientifica verso cui ci accompagna Scalia è la prima condizione per riconoscerlo e, per ciò stesso, limitarlo.


(3 aprile 2022)

© Vincenzo Scalia, Incontri troppo ravvicinati?, Manifesto libri 2023