Per Carlo Fei, ancora
Ubaldo Fadini
Carlo Fei,  particolare di installazione di 80 polaroid stampate da digitale su carta fuji crystal archive a formare una unica linea di orizzonte. 0,12x800 cm

09.07.2023

Una nuova mostra di Carlo Fei, con una ben articolata storia di “scatti” che ci restituisce un passaggio importante, meglio: un tentativo di ripresa di dinamiche affettive – e quindi anche di spazi di affezione – che la fotografia sembra finalmente concretizzare quando dismette le vesti abituali della rappresentazione il più possibile fedele per porsi come un paradossale medium produttivo, generativo.

È in questo senso che Fei muove “né più né meno”, si potrebbe anche dire: “per nulla”, verso dei potenziali, in prima approssimazione: qualcosa di “ignoto”, che trovano espressione/attuazione sempre parziale e provvisoria, temporanea, in modalità apparentemente irrelate. Appunto, in apparenza. In effetti quello che le opere di Fei si portano dietro o che proiettano davanti a noi sono dei veri e propri spazi affettivi, il che vuol dire che proprio questi ultimi vanno attraversati avendo come punto di riferimento l'immagine che balza agli occhi. Ma questo balzare non va confuso con una pratica rivolta a provocare un qualche choc; come forse si potrebbe pensare allorquando ci si pone di fronte alle immagini con l'unico “obiettivo” di sondarne un qualche misterioso piano di natura non a caso enigmaticamente simbolica. A me sembra che le fotografie di Fei ricerchino un nuovo contatto con il mondo, con gli oggetti artificiali e naturali che fanno da partner al nostro bisogno indomabile di una prossimità alle cose in grado di indicare un modo diverso di stare in mezzo ad esse, con attenzione e delicatezza, mi verrebbe da aggiungere.

Con originalità indiscutibile, pure in rapporto non semplice (per non dire complice: come accade in altre esperienze fotografiche) con alcune delle vicende più significative del fotografare contemporaneo, Fei cerca di supportare uno sguardo poeticamente orientato in senso per me anche “etico”, pratico-relazionale, attraverso una valorizzazione del “disambientamento” (per riprendere Gianni Celati e più sullo sfondo Luigi Ghirri) dei nostri assetti dati di sensibilità e intelligenza. Ecco allora che lo sguardo si rianima con il lavorìo incessante dell'immaginazione, di ciò che consente un andamento non preordinato, reso ancora più dinamico dagli incontri (e a volte scontri) in spazi mobili, costitutivamente sensibili alle urgenze della vita e al manifestarsi di qualcosa di inatteso, sorprendente, improbabile. Un fotografo della sorpresa, quindi, che mette di fronte al fatto che poco o nulla si sa ed è questo che vale la pena apprezzare per metterci in gioco, “né più né meno”.

Carlo Fei, né più né meno (non sappiamo niente)
galleria Cartavetra Firenze
fino al 9 settembre o su appuntamento
info@cartavetra.com