Una storia per il futuro: a proposito di "Millepiani"
Ubaldo Fadini

05.10.2023

Recentemente si è svolto a Milano (in CSOA COX 18, Conchetta) un incontro su “Per una critica del presente. Dalla crisi alla critica del quotidiano”, organizzato per festeggiare i 30 anni di ricerca filosofica (1993-2023) di “Millepiani”, diretta da Tiziana Villani, con la partecipazione, accanto alla stessa direttrice, di Igor Pelgreffi, Piergiorgio Caserini e anche del sottoscritto. È stata una iniziativa molto partecipata, arricchita da numerosi e puntuali interventi che hanno contribuito ancora di più a rendere l'idea di una articolazione dell'indagine stessa che dovrà mantenere vivo ciò che ha sempre caratterizzato la vicenda pluridecennale di “Millepiani”, vale a dire la convinzione che l'apparato teorico-critico vada continuamente riformulato e reso più complicato per poter tentare di concettualizzare dimensioni e aspetti singolari di una realtà – la “nostra”, quella presente – che si manifesta in termini decisamente aspri, contraddittori, violenti.

Dal complesso delle sensibilità e delle intelligenze che si è delineato sotto veste teorica in tale incontro, dalle sue ricadute al livello delle conversazioni e discussioni stimolate da un confronto aperto e senza pregiudizi di sorta, vorrei ricavare alcuni elementi di analisi, effettivamente condivisi dai partecipanti, anche sulla base delle note introduttive che hanno portato alla realizzazione della giornata milanese.

In primo luogo vale la presa d'atto che viviamo in un presente contraddistinto dall'affermazione di grammatiche e scritture che accompagnano la diffusione senza limiti di una violenza che impregna di sé pratiche di vita, attività di relazione, disposizioni affettive e stati d'animo. Si pensi soltanto al dilagare delle guerre (da quella cosiddetta “sul campo” a quelle di carattere finanziario), a ciò che rende indispensabile riflettere oggi, tra l'altro e anche in termini di una rinnovata “antropologia della guerra”, sulle difficoltà sempre più evidenti, di segno soprattutto politico, di mantenere vivi, anche attraverso una loro riformulazione e rilancio effettivo, patti sociali rivolti in origine a consentire il perseguimento di obiettivi fondamentali di giustizia sociale e di una esistenza quindi più soddisfacente e libera.

Tutto questo (e molto altro...) precipita oggi in un quotidiano attraversato da quelle manifestazioni di un vivere complessivamente impaurito (per non dire in fondo terrorizzato), catturato da passioni “tristi”: appunto il risentimento, l'odio, l'invidia ecc., ciò che innerva condotte volute come veramente performative, ipercompetitive, così come pretende la dogmatica ideologica dominante al servizio del modo attuale di “funzionamento” del produrre profitto per pochissimi.

La questione è dunque di ritornare ad articolare un discorso critico sul presente che si ricolleghi ovviamente alle studiose e studiosi che in tale ottica si sono collocati e che “Millepiani” ha riproposto incessantemente nel corso della sua vicenda complessiva: Foucault, Gorz, Benjamin, De Beauvoir, per fare soltanto alcuni nomi, e che sia però anche in grado di gettare concretamente lo sguardo su quello che sembra oggi porsi come una sorta di “oggetto relazionale” che restituisce l'intrecciarsi e pure lo scontrarsi di dinamiche di violenza che si compongono e scompongono senza soste. Tale “oggetto relazionale” è indubbiamente il quotidiano che appunto va investito criticamente da una analisi rivolta a comprenderne le trasformazioni degli assetti e delle configurazioni, da ciò che ne stravolge i caratteri in prima battuta afferrabili come quelli propri di un essenziale spazio di affettività.

Presupposto di tale movimento/pratica è la consapevolezza, richiamata in particolare da Villani, dell'urgenza di una rinnovata critica della violenza capace di dare ancora parola e corpo agli affetti, alla creatività, all'amicizia, alla condivisione/cooperazione, al fare politica, a tutte quelle dinamiche che in breve possono essere individuate come possibilità concrete di una reinvenzione del divenire umano, di un vero e proprio felice “umanare” (per dirla con Tim Ingold) rivolto ad obiettivi sostanziali di emancipazione /liberazione.

Critica della violenza e quotidiano. In questa prospettiva si è sottolineata l'importanza di un percorso di ricerca, incentrato proprio sulla critica della vita quotidiana, da Henri Lefebvre ad Ágnes Heller e rivisto oggi a partire dalla rilevazione di come – nel quadro del capitalismo di piattaforme e “digitale”– venga meno la classica distinzione tra tempo di lavoro e tempo di non-lavoro, si affermi cioè il motivo del “24/7”, di quel capitalismo che va “all'assalto del sonno”, che fa letteralmente “terra bruciata” attorno a sé, per riprendere la lezione di Jonathan Crary.

E ancora, rispetto sempre alla individuazione di un processo di “demolizione” che sembra essere la dominante del nostro permanere, per riprendere i nostri “classici” di riferimento, in una sorta di “preistoria” (che tale resta anche quando viene rivestita, come è accaduto in un tempo non troppo lontano, dagli abiti concettuali dei teorici del “post-storia”): dalla conversazione e dagli interventi scaturiti dall'incontro milanese si sono messi a punto alcuni piani di indagine che hanno come tratto comune il proposito di riaffermare un decisivo bisogno di storia, di una articolazione differente della vicenda umana complessiva che non sia risolta nella guerra e riaffermi invece la “ragione” viva, materiale, del cammino verso un mondo postcapitalista.

Si tratta in definitiva di piani che hanno alcuni elementi teorici su cui pare opportuno lavorare per restituire al meglio una esigenza di progettualità tesa a disegnare/realizzare effettivamente spazi di affettività allargati in grado di esercitare potere/potenza di contrasto rispetto ai modi odierni di assemblare corpi e menti. Educare a percepire diversamente, a valorizzare l'eccentricità specifica del posizionarsi umano in una chiave di sua risoluzione che non sia quella fornita dalla mercificazione voluta dei processi di identificazione e di formazione. A proposito di questi ultimi, in alcuni dei contributi/interventi si è sottolineata la necessità di riflettere sugli automatismi “naturali” e sociali che sovradeterminano in un unico senso le condotte educative, risolvendo appunto l'educare nel solo apprendere, rimuovendo tutto quello che nell'educare medesimo può avere soprattutto oggi una valenza critica: il sospendere, l'interrompere, il prendere/perdere tempo che non corrisponde al dettato proprio della società della prestazione ininterrotta, nella quale il consumo del soggetto, nel doppio senso del genitivo, risulta indispensabile per il divenire merce di qualsiasi soggettività, di tutte le pratiche di soggettivazione.

Molto altro mi verrebbe di segnalare, ma concludo questa mio breve riassunto ricordando una osservazione a me cara di Theodor W. Adorno, che risulta ancora purtroppo attuale, allorquando il filosofo francofortese scrive che “in una società funzionale, in cui gli uomini sono ridotti a delle funzioni, nessuno è anche indispensabile: chi ha una funzione può anche essere sostituito e soltanto chi è privo di funzione potrebbe in generale essere insostituibile. Ciò gli uomini lo sanno bene” (Adorno-Gehlen, La sociologia è una scienza dell'uomo? Una disputa, in Adorno, Canetti, Gehlen, Desiderio di vita, Milano-Udine 2019, p.101).